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11-L’orco

Lea, il papà aveva voluto chiamarla così perchè era nata sotto il segno del Leone, era una bella ragazzina e, alle prime fasi della sua pubertà, manifestava l’entusiasmo e la sana curiosità di conoscere per affrontare una vita intensa e felice. Era leader tra le sue amichette che l’ammiravano per la facilità e piacevolezza del suo parlare, per la capacità di risolvere i piccoli problemi con un sorriso disarmante ed una piacevole leggerezza. Non aveva ancora compiuto tredici anni ma il suo corpo, forse ancora un po’ acerbo, era già ben delineato e mostrava la grazia di una quindicenne; alta e slanciata, era agile e disinvolta e suscitava occhiate e commenti di apprezzamento. Lei arrossiva ma si sentiva appagata
nella sua naturale, innocente vanità. Frequentava la seconda media ed era stata rimandata in inglese e, poichè nel paesino in cui viveva non c’erano professori di lingue, seguiva insieme ad Angelo (che aveva avuto il suo stesso esito scolastico)
delle lezioni private da un giovane universitario che trascorreva i mesi estivi nel piccolo centro presso i nonni materni.
Silvio rendeva piacevoli le lezioni ai due ragazzi che letteralmente pendevano dalle sue labbra quando pronunciava quelle parole straniere e si sforzavano di imitarlo.
Sebbene Angelo non seguisse da due giorni le lezioni perchè ammalato, Silvio aveva detto a Lea che, senza procedere nel programma per non lasciare indietro il ragazzo,avrebbero fatto insieme un ripasso delle lezioni precedenti.
Lea bussò e Silvio la invitò ad entrare; non era nell’ingresso dove abitualmente impartiva le sue lezioni ma dalla stanza
dei nonni le giunse la sua voce insieme alle note di una canzone :”Vieni Lea, vieni ti mostro una bella cosa!”, la ragazza
poggiò il libro sul tavolo ed entrò nella stanza, curiosa. Silvio era dietro la porta e, senza tanti preamboli, la spinse sul letto con intenzioni facilmente intuibili. La ragazza, sorpresa, rimase ferma ma solo per un attimo, poi diventò una piccola furia: calci, pugni, graffi piovvero contro Silvio che, istintivamente, si ritrasse. A Lea bastò quel suo fugace smarrimento per sottrarsi a quell’amplesso indesiderato e, preso il libro dal tavolo, fuggì col cuore in gola.
Giunta nei pressi della sua abitazione, la ragione prese il posto della paura e cercò di rasserenarsi: non poteva entrare in casa tremante ed impaurita; la mamma avrebbe colto il suo disagio e non sarebbe stato facile raccontarle l’accaduto.
Si sedette sui gradini di una casa disabitata, aprì il libro e finse di leggere. Il suo cervello, però, cercava di capire, di digerire il suo risentimento e di trovare una soluzione all’esperienza che viveva. Come si doveva comportare?
Doveva coinvolgere i suoi familiari? L’insano tentativo di Silvio era, per fortuna, andato a vuoto ma Lea si sentiva ancora in pericolo: aveva incontrato un Orco ma non orripilante come quelli delle favole dai quali istintivamente si rifugge, qui l’orco aveva l’aspetto piacente dell’amico di cui si fidava.
Doveva prendere una decisione, doveva in qualche modo proteggersi…ma non voleva mettere in apprensione i suoi cari.
Non avrebbe mai più messo piede in quella casa da sola! Si alzò e si avviò con decisione a casa di Angelo per chiedergli
di avvertirla quando sarebbe ritornato da Silvio in modo da andarci insieme, il ragazzo stava meglio e le promise che sarebbe passato l’indomani a casa sua.
Lea salutò l’amichetto rassicurata, sperava soltanto che il giovane bellimbusto avesse tratto insegnamento dalla recente
esperienza e si ravvedesse, in lei, era certa, avrebbe lasciato il segno: l’aveva già pagata con la sua gioiosa ingenua spontaneità che sentiva ormai estranea alla sua vita.