Era primavera inoltrata e papà, ritornando da un viaggio di lavoro a Napoli, ci aveva portato in regalo una bella bicicletta e, per permettere di usarla anche a noi figlie, aveva scelto il modello da donna.
La domenica successiva noi fratelli ci recammo al castello per provare il gradito dono. Essendo la più piccola, dovetti aspettare a lungo affinchè giungesse il mio turno ma, finalmente, mio fratello Donato mi dedicò la sua attenzione permettendomi d’inforcare la sospirata bici.
Felice, un mio amico d’infanzia e di giochi ( eravamo coetanei e dirimpettai), mi aveva fatto compagnia nell’attesa e seguì con interesse la mia esperienza.
Per me era la prima volta, ero molto emozionata e, con impegno, mettevo in pratica i suggerimenti di mio fratello; Felice mi trotterellava dietro compiacendosi dei miei progressi.
Ormai mi sentivo sicura ed un po’ spavaldamente volli accelerare.
Sintanto che la strada correva diritta tutto andò bene; io tenevo saldamente il manubrio e pedalavo con forza ma, giunta all’Ariella, dove la strada presenta una curva a gomito, io proseguii diritto puntando verso un piccolo sentiero che terminava sull’orlo del burrone che precipitava nella valle sottostante.
Fui presa da un attacco di panico, le mani s’irrigidirono sul manubrio incapaci di frenare, i piedi continuavano a pedalare ed il burrone si avvicinava velocemente.
Mio fratello si era distratto rimanendo indietro e non si era reso conto del pericolo a cui stavo correndo incontro. Solo Felice, che continuava a seguirmi, ad un tratto gridò a squarciagola; “Lucia buttati, buttati a terra.” La sua voce vinse il mio stato di trance, ubbidii al suo richiamo e mi gettai di lato sull’erba.
Non ho mai dimenticato i suoi grandi occhi sgranati per l’emozione e l’ansia nella sua voce che mi chiedeva se mi fossi fatta male; per fortuna il mio atterraggio era stato alquanto morbido attutito dall’erba alta e folta.
Insieme raccogliemmo la bici che penzolava sull’orlo del burrone con la ruota anteriore che girava nel vuoto e, beata incoscienza, ridemmo di cuore all’idea del bel salto che avrei fatto senza il suo aiuto.
Donato non aveva colto la tragedia sfiorata e noi gli facemmo credere che era stata solo una banale
caduta da principiante.
Fu un piccolo segreto che tenne in vita la nostra amicizia anche quando la sua famiglia traslocò e la nostra frequentazione divenne meno assidua.
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