”Quando giù nel Tavoliere tutto arde la calura a Panni, sull’altopiano Pan Monte Sario, si gode la frescura“ *
 Già il titolo ci porta a pensare di un paese dove paesaggio incontaminato e tanta aria salubre si intrecciano fra loro creando un territorio da favola, un mondo affascinante.
A prima vista può sembrare un paese difficile eppure quei luoghi custodiscono autentiche riserve naturalistiche che meritano di essere visitate. Per questo armatevi di macchina fotografica e via, fra colline, boschi, ruscelli che saranno la scenografia del vostro vagabondare e godervi appieno il bel paesino di montagna che si chiama Panni in provincia di Foggia.
Godetevi le stradine del paese, gli uccelli, il verde, l’aria incontaminata a testimonianza di un territorio ancora sano. Alla fine, dopo tanto girovagare per il paese e fra queste bellezze naturali, un pò di relax sicuramente vi farà bene. Non aspettatevi grandi cose, ma parlate con la gente, entrate nei piccoli negozi, sedetevi sulle panchine della passeggiata del Castello, godetevi le prelibatezze della cucina locale. Guardate tutto l’insieme ed avrete in regalo la sensazione di aver scoperto un mondo sconosciuto e da favola riportandovi indietro nel tempo; visitate questa perla del Subappenino.
Una passeggiata nel bosco, in silenzio, riempiendosi i polmoni del profumo della resina dei pini, mentre la luce filtra tra i rami. Un pomeriggio di relax, sdraiate su un morbido tappeto di erba rivolgendo lo sguardo al cielo.
Da quanto tempo non ti concedi una pausa d’immersione nella Natura? Intanto chiudi gli occhi e non sarà difficile materializzare nella tua mente questi possibili scenari.
La sensazione che ne trarrai sarà d’immediato benessere, La Natura fa parte di noi, ma di cui ci siamo dimenticati.
Aristotele scriveva che “il medico cura, la Natura guarisce”
Panni vi aspetta con tutte le sue sagre, con tutti i suoi prodotti, con tutti i gioielli del suo territorio, con tutta la sua Natura. .

06-Daniele

Daniele

La signora Gloria si era recata alla prima messa perché quella sua giornata sarebbe
stata ricca d’impegni avendo alcuni ospiti a pranzo.
All’uscita si era un po’attardata a salutare suor Giuliana la madre superiore dell’asilo
comunale; tra loro si era istaurata una bella amicizia e, spesso, si scambiavano piccole gentilezze.
Oggi suor Giuliana aveva preparato i fagioli con la cotica ed aveva chiesto alla sua
amica di passare a prenderne una ciotola verso mezzogiorno. “ Io non potrò venire – aveva detto Gloria –
ma manderò uno dei miei ragazzi, stanne certa; è un piatto che ci piace molto. Grazie!.”
Il grande orologio della chiesa madre spandeva ancora nell’aria i suoi sonori rintocchi
quando Daniele bussò alla porta dell’asilo per assolvere l’incarico che la madre gli aveva affidato.
Fu proprio suor Giuliana ad aprirgli e gli chiese sorridendo: “Cosa desidera il nostro
ometto?” “ Mi manda mamma a prendere la ” totitella””. Affermò sicuro il bambino.
Daniele sin da piccolo aveva sostituito nel suo linguaggio la lettera “c” con la lettera
“t” e ora, ad oltre quattro anni d’età, non era ancora riuscito ad eliminare dal suo linguaggio quel vezzo
puerile che a volte lo metteva a disagio.
La suora conosceva bene quella sua piccola difficoltà e, quando lo incontrava, si
divertiva a fargli ripetere parole con quell’antipatica consonante.
Anche ora fingeva di non capire e chiese svariate volte a Daniele di ripetere il motivo
della sua venuta. Il bambino, educato e gentile, ripetè una, due, tre, quattro volte la parola “totitella”,
ma alla quinta richiesta perse la pazienza e, contrariato, esclamò: “ Tazzo! Tu non tapisci mai!”.
La suora lo rimproverò severamente:” Daniele, queste parole non si dicono!”
Esterrefatto il bambino quasi si giustificò:” Ah, però, tu “tazzo” tapisci e “totitella” no!”
Suor Giuliana, per non scoppiare a ridere di fronte alla giusta considerazione di
Daniele, corse a riempire la ciotola.
Spavaldo il bambino s’incamminò verso casa; era sicuro che la monaca non avrebbe
più sorriso divertita per il suo linguaggio e, da parte sua, avrebbe cercato di liberare quella ”c” che gli si
era impigliata nelle corde vocali e che sentiva ora agitarsi nella sua gola; presto, ne era sicuro, sarebbe
venuta fuori nella sua sonora rotondità anche a costo di ripetere all’infinito il termine che aveva tanto
scandalizzato la spiritosissima suor Giuliana.

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