”Quando giù nel Tavoliere tutto arde la calura a Panni, sull’altopiano Pan Monte Sario, si gode la frescura“ *
 Già il titolo ci porta a pensare di un paese dove paesaggio incontaminato e tanta aria salubre si intrecciano fra loro creando un territorio da favola, un mondo affascinante.
A prima vista può sembrare un paese difficile eppure quei luoghi custodiscono autentiche riserve naturalistiche che meritano di essere visitate. Per questo armatevi di macchina fotografica e via, fra colline, boschi, ruscelli che saranno la scenografia del vostro vagabondare e godervi appieno il bel paesino di montagna che si chiama Panni in provincia di Foggia.
Godetevi le stradine del paese, gli uccelli, il verde, l’aria incontaminata a testimonianza di un territorio ancora sano. Alla fine, dopo tanto girovagare per il paese e fra queste bellezze naturali, un pò di relax sicuramente vi farà bene. Non aspettatevi grandi cose, ma parlate con la gente, entrate nei piccoli negozi, sedetevi sulle panchine della passeggiata del Castello, godetevi le prelibatezze della cucina locale. Guardate tutto l’insieme ed avrete in regalo la sensazione di aver scoperto un mondo sconosciuto e da favola riportandovi indietro nel tempo; visitate questa perla del Subappenino.
Una passeggiata nel bosco, in silenzio, riempiendosi i polmoni del profumo della resina dei pini, mentre la luce filtra tra i rami. Un pomeriggio di relax, sdraiate su un morbido tappeto di erba rivolgendo lo sguardo al cielo.
Da quanto tempo non ti concedi una pausa d’immersione nella Natura? Intanto chiudi gli occhi e non sarà difficile materializzare nella tua mente questi possibili scenari.
La sensazione che ne trarrai sarà d’immediato benessere, La Natura fa parte di noi, ma di cui ci siamo dimenticati.
Aristotele scriveva che “il medico cura, la Natura guarisce”
Panni vi aspetta con tutte le sue sagre, con tutti i suoi prodotti, con tutti i gioielli del suo territorio, con tutta la sua Natura. .

02-Un regalo determinante

Un regalo determinante
Gli avevano regalato una macchina fotografica e Maurizio, spavaldo, la portava con sé ogni volta che usciva e spendeva in rollini l’intera paghetta di cui disponeva.
Gli piaceva immortalare i momenti suggestivi della natura, i monumenti della sua città, ma, principalmente, i volti umani, cogliendone le espressioni più
insolite e significative.
Durante l’estate aveva trascorso un periodo di vacanze al paese natio dei suoi genitori e la sua fedele macchina fotografica lo accompagnava nelle lunghe passeggiate sui monti e nei boschi limitrofi.
Aveva fatto amicizia con Saverio un ragazzo che abitava di fronte alla casa dei suoi nonni e che, spesso, si univa a lui e gli mostrava posti nuovi per soddisfarela sua ricerca del bello da fotografare.
Era la festa di San Rocco ed il paese era in piacevole fermento.
Saverio aveva una sorellina di qualche anno più piccola di loro, Aurora e , secondo il costume del paese, aveva il suo abito nuovo da sfoggiare in onore del santo patrono.
Era il suo primo vestito da signorinella, un tailleur di rafia rossa che esaltava le sue forme ancora acerbe senza nascondere la sua grazia e l’ingenuità della sua
preadolescenza. Le scarpette a ballerina, anch’esse rosse, erano rallegrate da un laccetto legato a fiocco e con all’estremità due pendenti metallici che, a volte
toccandosi, emettevano un lieve suono, quasi un ovattato richiamo per farsi notare.
Così l’aveva notata per la prima volta Maurizio e, complimentandosi con lei, le aveva chiesto il permesso di scattarle una foto.
Il viso delicato della ragazza era arrossito, come se il vestito le avesse lanciato bagliori del suo caldo colore per renderla più attraente, ma non si sottrasse al suo
invito.
Maurizio aveva cercato di fare del suo meglio e c’era riuscito: quella foto era proprio un’opera d’arte che gli fece amare ancora di più il suo hobby.
“Appena possibile – le aveva promesso- te la farò recapitare”, ma non aveva mantenuto la promessa, così senza un reale motivo, forse solo perché spesso la vita allontana.
Ora, dopo oltre quindici anni, era in Kossovo, terra martoriata da guerre e soprusi, come foto-reporter. Aveva già, in precedenza, partecipato ad altre missioni ma non riusciva a guardare tutta quella sofferenza con distacco; tremava di fronte alla malvagità umana
e scattava, scattava, scattava …: voleva con le sue foto far capire a tutto il mondo la terribile atrocità della guerra.
Si era proposto che, una volta tornato in Italia, avrebbe pubblicato o con un libro o con una mostra le foto più significative.
Gli occhi tristi dei bambini, grandi e sgranati su tanta cruda realtà, l’infanzia negata ai bambini-soldati, le conseguenze dei campi minati che avrebbero portato sui loro corpi per tutta la vita, erano diventati il suo impegno costante.
Oggi era lì a fotografare una bimba di circa 3 o 4 anni che giocava con dei sassi sulla soglia della sua misera abitazione: sorrideva quando riusciva a mandarli lontano e, felice, li raccoglieva per riprendere il gioco.
Come era bello cogliere l’innocenza di quel sorriso e la capacità umana di adattarsi ad ogni situazione per quanto atroce sia!
All’improvviso il suono terrificante di una sirena squarciò l’aria e la mano lesta della mamma portò la bimba al sicuro interrompendo il suo dolce attimo di serenità.
Sparito il soggetto del suo lavoro Maurizio corse al rifugio nei pressi dell’hotel che ospitava i giornalisti inviati da ogni parte del mondo.
Era giunto per primo nel sotterraneo che aveva un’unica finestrella stretta e lunga ed aveva accostato ad essa una specie di tavolo sgangherato su cui era salito per cercare di riprendere qualche immagine dello
attacco che prendeva di mira proprio l’hotel riservato alla stampa.
Intanto il rifugio si riempiva di gente; alcuni colleghi lo avevano imitato, altri erano in piedi silenziosi, altri ancora cercavano di farsi coraggio parlando tra loro con fervore.
Allo scoppio fragoroso di un’altra bomba proprio vicino a loro, una voce terrorizzata invocò:”San Rocco benedetto proteggici!”
Quella voce, quel nome di santo invocato con tanta devozione lo fecero saltare giù dal tavolo esclamando:”Aurora!?”, gli fece eco “Maurizio!?”.
L’uno si lanciò nelle braccia dell’altro per superare quel momento di terrore, cercandovi insperata protezione.
Era proprio Aurora, il soggetto della prima delle sue foto dedicate alle donne: era stata inviata come cronista di guerra dal direttore del suo giornale per la limpidezza dei suoi pensieri, la profondità dei suoi sentimenti e la compartecipazione spontanea verso le
sofferenze di chi incontrava.
Era alla sua prima missione e mai avrebbe immaginato di vedere ciò che aveva visto in quell’angolo di mondo che non le sembrava reale: era un incubo che lei cercava di riprodurre nei suoi articoli che puntualmente inviava a Milano, alla sede del suogiornale e scuotevano la coscienza dei lettori rendendo palpitanti i dolori e le sofferenze di quel popolo lontano.
Dopo un lunghissimo abbraccio che rigò di lacrime i loro volti, si martellarono di tante domande: volevano annullare i lunghi anni che li avevano separati e ritrovare il candore e la semplicità del loro primo incontro.
Quando finalmente tornò una parvenza di calma uscirono insieme, mano nella mano, con le loro borse a tracolla sulle spalle, sembravano due ali che avrebbero loro permesso di prendere il volo per realizzare il sogno più urgente delle loro esistenze: manifestare con
parole ed immagini come è insensato l’uomo che, per qualsiasi motivo, provoca eventi catastrofici come la guerra.
S’incamminarono insieme verso un progetto di vita che sarebbe risultato un connubio inscindibile di Sofferenza e di Amore, un impegno in cui avrebbero profuso le loro energie migliori, i loro sentimenti più autentici.
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