I miei fratelli, come tradizione, portavano il nome dei nonni e col nome avevano ereditato anche i geni delle due famiglie.
Costanzo, longilineo, razionale e serioso, somigliava sia fisicamente che caratterialmente a papà mentre Donato, più basso, istintivo, diretto e sempre pronto alla battuta spiritosa, era l’immagine di mamma. Erano più grandi di me, il primo di sei l’altro di quattro anni e, da quando noi figli ci eravamo stabiliti a Foggia per motivi di studio, erano i miei angeli custodi. Assolvevano, insieme a mia sorella Lina, il compito
che i nostri genitori avevano loro devoluto: la loro sorellina che sentiva oltremodo la lontananza da casa, doveva essere protetta e, spesso, mi coccolavano.
Un giorno, era di domenica, Lina era tornata a Panni mentre noi tre eravamo a Foggia; i miei fratelli per attendere l’esito del loro anno scolastico, io perchè a breve avrei sostenuto gli esami di terza media.
Avevo un professore di latino molto severo ed esigente e, come ultima lezione, aveva trattato la “consecutio temporum” presentandocela come argomento fondamentale dell’esame. Io, forse spaventata dal nome
altisonante o perchè era stata spiegata frettolosamente l’ultimo giorno di lezioni, non ne afferravo nè il concetto nè il meccanismo, Costanzo, che aveva sempre seguito studi ad indirizzo umanistico, cercava di chiarirmi l’idea di “consecutio” ma io ero di coccio, non riuscivo ad intendere.
Dopo vari ed inutili tentativi tentativi, mio fratello s’innervosì ed, alzando la voce, mi rimproverò aspramente
perchè, secondo lui, non era possibile che una ragazza intelligente non afferrasse un concetto così logico.
Costanzo non si era mai rivolto a me in quel modo ed io ne fui sgradevolmente sorpresa e sconcertata.
Donato, a cui era toccato il compito di preparare il pranzo, reagì alla scena dicendo:” Non vedi che la stai terrorizzando? Al diavolo tu ed i tuoi libri!” ed, in uno scatto d’ira, lanciò il libro di latino oltre la finestra aperta per mitigare la calura estiva che si sentiva precocemente nell’aria. Si affrontarono come due galli pronti al combattimento ed io scoppiai in un pianto dirotto. I due guerrieri deposero subito le armi e, gentili e premurosi, accorsero a consolarmi.
Poco dopo scendemmo per recuperare il libro ( per fortuna eravamo al piano rialzato e la finestra dava nel cortile interno del palazzo) ma anche per comprare un ottimo gelato al “Sottozero”.
Ci eravamo rasserenati e, gustando il nostro gelato, Costanzo riprese la sua lezione così bruscamente interrotta: ” Vedi, Lucia, noi ora stiamo mangiando il gelato ma, prima, siamo usciti di casa; le nostre due azioni
non possiamo esprimerle nello stesso tempo verbale perchè non sono avvenute contemporaneamente…”
Non lo lasciai continuare: tutti gli insegnamenti di mio fratello erano, improvvisamente, diventati chiari nella mia mente: “Si – dissi- ora ho capito!”
La voce spiritosa di Donato fece eco alla mia esclamazione: ” Furbacchiona che non sei altro, a te ci
voleva il gelato per farti capire!” Ci guardammo divertiti e scoppiammo in una sonora risata.
Ora non ci sono più; li ho persi entrambi nel breve volgere di un anno e mi mancano …
Non ho più la certezza che, all’occorrenza, avrei trovato il loro appoggio incondizionato e l’affetto sincero; quel calore, insomma, che ha sempre caratterizzato la nostra famiglia e che mi manca tanto.
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