”Quando giù nel Tavoliere tutto arde la calura a Panni, sull’altopiano Pan Monte Sario, si gode la frescura“ *
 Già il titolo ci porta a pensare di un paese dove paesaggio incontaminato e tanta aria salubre si intrecciano fra loro creando un territorio da favola, un mondo affascinante.
A prima vista può sembrare un paese difficile eppure quei luoghi custodiscono autentiche riserve naturalistiche che meritano di essere visitate. Per questo armatevi di macchina fotografica e via, fra colline, boschi, ruscelli che saranno la scenografia del vostro vagabondare e godervi appieno il bel paesino di montagna che si chiama Panni in provincia di Foggia.
Godetevi le stradine del paese, gli uccelli, il verde, l’aria incontaminata a testimonianza di un territorio ancora sano. Alla fine, dopo tanto girovagare per il paese e fra queste bellezze naturali, un pò di relax sicuramente vi farà bene. Non aspettatevi grandi cose, ma parlate con la gente, entrate nei piccoli negozi, sedetevi sulle panchine della passeggiata del Castello, godetevi le prelibatezze della cucina locale. Guardate tutto l’insieme ed avrete in regalo la sensazione di aver scoperto un mondo sconosciuto e da favola riportandovi indietro nel tempo; visitate questa perla del Subappenino.
Una passeggiata nel bosco, in silenzio, riempiendosi i polmoni del profumo della resina dei pini, mentre la luce filtra tra i rami. Un pomeriggio di relax, sdraiate su un morbido tappeto di erba rivolgendo lo sguardo al cielo.
Da quanto tempo non ti concedi una pausa d’immersione nella Natura? Intanto chiudi gli occhi e non sarà difficile materializzare nella tua mente questi possibili scenari.
La sensazione che ne trarrai sarà d’immediato benessere, La Natura fa parte di noi, ma di cui ci siamo dimenticati.
Aristotele scriveva che “il medico cura, la Natura guarisce”
Panni vi aspetta con tutte le sue sagre, con tutti i suoi prodotti, con tutti i gioielli del suo territorio, con tutta la sua Natura. .

21-Le Fontane

Nevica in modo furioso; un forte vento sospinge le bianche farfalle contro il vetro del mio balcone rendendolo candido di cristalli di ghiaccio e, repentinamente mi torna alla mente, come un film in bianco e nero, il mio paese natio sommerso in un mare di neve.

Cumuli alti oltre un metro ci rendevano prigionieri nelle nostre stesse case.

Io ero piccola e vivevo l’evento come una grande, piacevole novità: era bello tuffarsi nella neve morbida lasciandovi impresse le proprie impronte simili ad angeli bianchi, si giocava così o a palle di neve con i miei fratelli mentre mamma ci preparava la granita con il vincotto, col caffè o col succo di limone, d’arancia o di mandarino. Ma, aldilà dell’aspetto piacevole,  la neve nascondeva molti rischi; oltre al freddo intenso era il ghiaccio che incuteva paura e provocava cadute, a volte, disastrose.

Ogni famiglia era tenuta a rimuovere la neve davanti alla propria abitazione ammucchiandola contro i muri: era un lavoro pesante e costante perchè durante la notte continuava a nevicare e le strade, per il calo della temperatura, ghiacciavano trasformando il nostro ripido corso in una pericolosa pista scivolosa.

Quando l’inverno finalmente finiva e spuntavano le prime giornate di sole che scioglievano la neve, il paese si rianimava: un corteo iniziatosi a valle ed ingrossandosi lungo il tragitto, saliva, badili in spalla, verso il Castello cantando allegre stornellate o arie di cori alpini. Erano i “giganti della montagna”( come li definiva mia madre), i più baldi giovani del paese che si assumevano il compito di liberarlo dalla neve vecchia e sporca che ingombrava le strade. Salivano verso le vie più alte del paese, sminuzzavano i cumuli di neve e li trasportavano all’inizio di corso Vittorio Emanuele ii e, lì, costruivano un’enorme diga per raccogliere l’acqua che defluiva dall’alto. Quando la diga conteneva una quantità d’acqua sufficiente a creare una bella cascata, l’aprivano ed inondavano  il ripido corso. Ogni abitante aveva, nel frattempo, spostato la neve dai bordi della strada verso la lista centrale ed aspettava l’onda possente  che l’avrebbe trascinata a valle. Anch’io avevo il mio strumento di lavoro ( una vecchia scopa col manico rotto per adeguarla alla mia altezza) con il compito di spingere nella corrente i pezzi di ghiaccio che venivano ad invadere il gradino esterno della nostra casa. Le dighe, dette “fontane” nel gergo paesano, si susseguivano l’una all’altra con un piccolo intervallo di tempo per consentire la raccolta delle acque durante il quale i giovani lavoratori erano rifocillati con panini al prosciutto e salami nostrani, con pizze appena sfornate, boccali di vino genuino, fichi secchi ed altre leccornie del luogo. Era una bella ed utile festa popolare in cui si rinsaldavano amicizie, si superavano vecchi screzi e si istauravano nuove conoscenze e simpatie.

Alla fine della giornata si era tutti allegri e soddisfatti del lavoro svolto; anche i ciottoli del corso ringraziavano e si pavoneggiavano, bianchi e scintillanti come pietre preziose, agli ultimi raggi del sole.

( clicca su questa scritta) Le grandi nevicate del passato a Panni (foto di Carmine Lapolla)

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