”Quando giù nel Tavoliere tutto arde la calura a Panni, sull’altopiano Pan Monte Sario, si gode la frescura“ *
 Già il titolo ci porta a pensare di un paese dove paesaggio incontaminato e tanta aria salubre si intrecciano fra loro creando un territorio da favola, un mondo affascinante.
A prima vista può sembrare un paese difficile eppure quei luoghi custodiscono autentiche riserve naturalistiche che meritano di essere visitate. Per questo armatevi di macchina fotografica e via, fra colline, boschi, ruscelli che saranno la scenografia del vostro vagabondare e godervi appieno il bel paesino di montagna che si chiama Panni in provincia di Foggia.
Godetevi le stradine del paese, gli uccelli, il verde, l’aria incontaminata a testimonianza di un territorio ancora sano. Alla fine, dopo tanto girovagare per il paese e fra queste bellezze naturali, un pò di relax sicuramente vi farà bene. Non aspettatevi grandi cose, ma parlate con la gente, entrate nei piccoli negozi, sedetevi sulle panchine della passeggiata del Castello, godetevi le prelibatezze della cucina locale. Guardate tutto l’insieme ed avrete in regalo la sensazione di aver scoperto un mondo sconosciuto e da favola riportandovi indietro nel tempo; visitate questa perla del Subappenino.
Una passeggiata nel bosco, in silenzio, riempiendosi i polmoni del profumo della resina dei pini, mentre la luce filtra tra i rami. Un pomeriggio di relax, sdraiate su un morbido tappeto di erba rivolgendo lo sguardo al cielo.
Da quanto tempo non ti concedi una pausa d’immersione nella Natura? Intanto chiudi gli occhi e non sarà difficile materializzare nella tua mente questi possibili scenari.
La sensazione che ne trarrai sarà d’immediato benessere, La Natura fa parte di noi, ma di cui ci siamo dimenticati.
Aristotele scriveva che “il medico cura, la Natura guarisce”
Panni vi aspetta con tutte le sue sagre, con tutti i suoi prodotti, con tutti i gioielli del suo territorio, con tutta la sua Natura. .

14-capitolo quattordicesimo

Cap.14° Notte d’incubo

Dopo alcuni mesi, in una gelida notte invernale, il 7-2-1972 alle ore due, nacque Stefania con un parto prematuro e precipitoso che mise in pericolo sia la mia vita che quella della nascitura.
Per fortuna il mio ginecologo, a notte fonda, giunse a casa nel giro di cinque minuti e, in un’atmosfera di tragedia, mi aiutò a mettere al mondo la mia seconda bambina.
Ero circondata da gente in preda al panico: mia sorella svegliò, nel cuore della notte, tre famiglie sconosciute prima di riuscire a comporre il giusto numero telefonico per avvertire i miei suoceri; mio marito non riusciva a trovare le forbici ed il filo di sutura che, in bell’ordine, stavano sul tavolinetto del suo studio e, per tagliare il cordone ombelicale della neonata, prese le forbici da cucina e, per disinfettarle, bruciò dell’alcool in un bel portacenere di vetro di Murano che avevamo comperato durante il nostro viaggio di nozze e che, ovviamente, si ruppe sul comò.
Il ginecologo annodò grossolanamente il cordone ombelicale della bimba e la lasciò sul letto al freddo senza neanche una copertina, per assistere me che avevo una forte emorragia. Alle mie esortazioni di proteggere la piccola dal freddo il dottore rispose di pensare a me stessa: era anche lui preda dell’atmosfera di tensione che aleggiava nella stanza.
Erano tutti in attesa di un’imminente tragedia!
Io ero l’unica ad essere lucida e calma sebbene avvertissi un’infinita debolezza che mi impediva qualsiasi movimento.
Fortunatamente, dopo un paio d’ore, arrivò mio cognato e, in qualità di pediatra, si prese cura di Stefania: le fece il bagnetto, la vestì e la riscaldò. Il suo intervento scongiurò alla bambina conseguenze più gravi ma la piccola soffrì, nei primi sei mesi di vita, di una fastidiosa forma di asma bronchiale ed il suo nasino, intirizzito dal freddo, si ammorbidì solo durante l’estate successiva.
Quell’esperienza traumatizzante, ringraziando Iddio ed il mio ginecologo,si concluse comunque positivamente. Stefania, però, aveva scambiato la notte per il giorno e mi costringeva a stare in piedi l’intera nottata (si addormentava solo dopo la poppata delle sei) e, se nel cielo brillava la luna, si distraeva ed era in qualche modo tranquilla in braccio e dietro i vetri del balcone; ma se la notte era buia, dovevo fare i salti mortali per non farla piangere e permettere a mio marito di riposare per potere
affrontare la sua intensa giornata lavorativa.
Dopo una lunga covalescenza papà si era ripreso dall’incidente occorsogli e, quando dovetti rientrare a scuola dopo la nascita di Stefania, permise a mia sorella di ritornare a casa mia.
Io e Lina ci dividevamo le incombenze delle due bambine ed io riposavo il pomeriggio per poter stare sveglia la notte con Stefania e riuscire ad assolvere dignitosamente il mio impegno scolastico.
Sebbene l’iter giornaliero fosse duro ero serena, le bimbe crescevano bene e l’aiuto di mia sorella mi dava la carica: mi sentivo quasi doppia, una a casa ed una a scuola.
In questo clima di grande impegno ma anche di gioia intensa mi accorsi di essere nuovamente incinta e, sebbene le bambine fossero troppo piccole, augurandomi che arrivasse un maschietto non mi scoraggiai anzi mi caricai di entusiasmo.
Con mio marito ci rendemmo conto che l’appartamento in cui vivevamo era ormai troppo piccolo per le nostre nuove esigenze e cominciammo a cercare una nuova casa.
Non fu una ricerca molto lunga: vedemmo sì degli appartamenti che non ci convinsero ma, dopo pochi giorni, zio Luigino ci informò che, proprio nel palazzo in cui abitava, avevano messo in vendita un bell’attico libero, molto spazioso e ben rifinito anche perchè il costruttore avrebbe voluto trasfersi con la sua famiglia ma, poi, non avevano più attuato il suo proposito.
Lo vedemmo, ci piacque subito e, superando l’opposizione di mia suocera che considerava la casa troppo periferica rispetto
a corso Giannone, lo impegnammo.
Quando papà vide la casa che stavamo comprando disse solo:”Non ve la lasciate scappare, è bellissima!” Era di poche parole ma aveva ragione.
Fu un affare, firmammo il compromesso la vigilia di Natale del 1972 e nel gennaio successivo i prezzi degli immobili ebbero un’impennata davvero spaventosa; Filippo Argentile, il costruttore da cui compravamo, fu un gran signore e non aumentò di una lira il prezzo pattuito affermando di essere compiaciuto che il “suo” appartamento sarebbe stato utilizzato da una coppia giovane e così ben assortita. Gli eravamo simpatici senza alcun dubbio.
Col mutuo ENPAM e con qualche sacrificio divenimmo proprietari del magnifico attico in cui ancora abitiamo.
La vita procedeva con qualche preoccupazione in più ma sempre con tanto entusiasmo ed armonia.
Anche Stefania si adeguò all’atmosfera familiare e mi fece un grande regalo:il giorno del suo primo compleanno, dopo aver spento la candelina tra la gioia festosa di tutti i parenti, si addormentò e si svegliò alle sei del mattino seguente.
Io, incredula, la vegliai tutta la notte, era un miracolo così inaspettato che mi sembrava irreale: Stefania aveva, dunque, capito che la notte era fatta per dormire!?.
Fu una manna divina, ero al nono mese della mia terza gravidanza ed era duro rimanere sveglia tutta la notte con la bimba
in braccio.
Una ventina di giorni più tardi, alle prime avvisaglie di doglie, memore del mio secondo precipitoso parto e consigliata dal dottor Di Leo il mio ginecologo, preferii ricoverarmi e, dopo cinque giorni, il 1° marzo del ’73 nacque Antonio.
Fu un parto alquanto difficile perchè il bimbo aveva il cordone ombelicale avvolto due volte intorno al collo.
La sala parto era letteralmente affollata di medici ed infermieri: era l’ora del cambio di turno e quelli che dovevano smontare non andavano via perchè stava per nascere il figlio del dottor Mastrangelo e quelli che prendevano servizio entravano anche senza camice.
Io mi sentivo a disagio e pregavo Pino di mandarli via ma inutilmente.
Certamente trasmisi la mia inquietudine all’ostetrica che non riusciva a tagliare il cordone ombelicale che rischiava di soffocare il nascituro.
Solo l’intervento provvidenziale del “solito” dottor Di Leo potè scongiurare il peggio ed il bimbo nacque, anche se un po’ cianotico, sano e vivace.
Era ” giovedì grasso” e tra applausi, dolcetti e champagne si festeggiò l’arrivo del sospirato maschio. Eravamo tutti felici!
Papà era letteralmente innamorato di Antonio, gli ricordava Costanzuccio il suo primo figlio, deceduto a soli tre anni per una banale laringite: lo guardava incantato ed il bimbo rispondeva al suo affetto con un trasporto indicibile, gli bastava sentire la sua voce per sorridere.
Due mesi dopo la nascita di Antonio ci trasferimmo nella nuova casa, mi ci perdevo tanto era grande rispetto all’altra.
L’attico occupava l’intero ottavo piano della scala “C” dello stabile e consisteva in uno splendido appartamento di oltre duecento metri quadrati ben suddiviso in una zona notte con tre ampie stanze da letto, un ripostiglio ed un bel bagno
ed una zona giorno composta da uno studio personale, un salone doppio, uno spazioso soggiorno con un’accogliente cucina ed un altro confortevole bagno.
Le stanze erano tutte ampie, luminose e si affacciavano su un terrazzo, un po’ più esteso dell’appartamento, che lo circondava quasi completamente; solo una piccola parte esposta a nord confinava con l’attico dell’altra scala.
Maria Elena e Stefania si rincorrevano felici entrando da un balcone ed uscendo da un altro di un’altra stanza: prendevano possesso del nuovo ambiente nel modo più gioioso e naturale!
La bellezza dell’appartamento era ancora più esaltata dal magnifico e vario panorama che ci offriva: l’esposizione ad est ci permetteva di ammirare il Gargano, mentre quella a sud ed ovest si apriva sull’Appennino dauno ed i monti dell’Irpinia e Panni era lì, proprio di fronte al nostro bel soggiorno ai cui balconi non ho voluto mai mettere tende per potere avere,anche stando in casa, una libera visione dei miei monti natii e godere dei tramonti vari e sempre spettacolari che ci offriva la natura. Avevamo fatto un bel salto di qualità!
Gradualmente, aiutati anche dall’estro del nostro amico e compaesano Mimmo Norcia, arredammo il nuovo appartamento in modo personale ed originale. Il terrazzo fu arricchito con tante piante e fiori che rallegravano le nostre giornate e divenne il parco-giochi privato dei nostri bambini che inventavano in esso mille avventure e piacevoli divertimenti tra loro o insieme ai cuginetti ed agli amici.
Poco dopo la nascita di Antonio papà andò in pensione e ritornò a vivere a Panni insieme a mamma e quando ebbe la “buonuscita” la volle dividere con noi figli; questa decisione oltre ad essere un’ennesima manifestazione di grande affetto da parte di papà, era per me proprio benaccetta perchè le nostre spese erano notevolmente aumentate.
Verso la metà del mese di giugno papà ci informò che voleva andare a Torino per portare a mio fratello Donato la sua parte della “buouscita”.
Lina decise di partire con lui. Io ci rimasi male, non mi sembrò una decisione presa sul momento ma quasi una liberazione premeditata, sentivo che non sarebbe più tornata ma non capivo il perchè del suo volere andare via; l’avevo sempre trattata con sincero affetto e vissi la sua partenza come un abbandono, un tradimento e, per riuscire ad accettarla arrivai ad autoaccusarmi di egoismo.
Forse era proprio così, ero per egoismo risentita mentre lei cercava una sua dimensione autonoma, una sua realizzazione come donna e quando, un anno più tardi, chiese a me ed a mio marito di essere i testimoni delle sue nozze fui felice per lei e
mi rasserenai.
Durante l’estate cercai una signora capace di sostituirmi coi bambini nelle ore di impegno scolastico ma non era come avere mia sorella; ero in ansia e mi agitavo a volte anche senza motivo.
Per fortuna ebbi il trasferimento a Foggia e potevo essere più presente alla mia famiglia e papà, appena ne avevo bisogno, correva a darmi una mano.
Avvertivo la forza del suo affetto, capivo che per lui era un piacere stare con i bambini che lo adoravano, ma mi sentivo in colpa perchè approfittavo della sua disponibilità, incapace di essere autonoma.
Papà colse il mio disagio e sorridendo mi disse:” Vedrai, un giorno avrò anch’io bisogno di te!” Lo abbracciai a lungo: capiva tutto al volo e trovava il modo più semplice per rimuovere le mie difficoltà.

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